Tribunali militari: perché è tempo di cambiare

In Italia i tribunali militari esistono da oltre un secolo. Nascono da un’esigenza storica: garantire che, in caso di guerra o gravi emergenze, i reati commessi dai militari venissero giudicati in tempi rapidi e con criteri adatti al contesto delle forze armate. Oggi però la situazione è radicalmente cambiata. Ti sei mai chiesto a cosa servano ancora i magistrati e i tribunali militari, nell’era della giustizia ordinaria moderna?

Proviamo insieme a ragionarci: tra duplicazioni di competenze, costi inutili e funzioni puramente simboliche, quella giudice militare è diventata una giustizia fuori tempo massimo, un’eredità del passato che non risponde più alla realtà operativa dei soldati italiani.

Origini storiche dei tribunali militari

Per capire il presente, bisogna guardare al passato. I tribunali militari nascono soprattutto nell’Ottocento e nei primi del Novecento, quando l’Italia si trovava spesso coinvolta in conflitti. Il loro compito era giudicare i reati militari in modo rapido: diserzione, insubordinazione, spionaggio, codardia in battaglia.

Avevano senso in un contesto in cui:

l’Esercito era composto da milioni di coscritti poco addestrati;

la disciplina era mantenuta con strumenti severi;

la guerra era una realtà concreta e frequente.

In altre parole: senza un apparato giudiziario separato e feroce, l’enorme macchina bellica rischiava di sgretolarsi. Ma oggi, che ruolo hanno davvero?

Il contesto attuale delle Forze Armate

L’Esercito Italiano del 2025 non è più quello del 1915. Non abbiamo il servizio di massa obbligatorio, ma professionisti addestrati. Le missioni non sono di conquista, ma soprattutto di pace, addestramento e difesa.

Oggi un soldato che compie un illecito non si trova a rischio fucilazione per diserzione, ma viene sospeso dal servizio o processato, come ogni altro cittadino, per i reati comuni. Se un militare guida ubriaco, commette un furto o aggredisce qualcuno, non c’è alcun motivo logico per cui debba essere giudicato da un tribunale militare.

La maggior parte dei reati militari “puri”, come la disobbedienza agli ordini o l’insubordinazione, possono già essere gestiti tramite sanzioni disciplinari interne. Non serve un magistrato militare per punire un comportamento insubordinato: la gerarchia, le leggi e i regolamenti disciplinari dell’Arma sono più che sufficienti.

Duplicazione e spreco di risorse

Il problema principale è la duplicazione delle istituzioni. Perché mantenere due sistemi di giustizia separati?

Magistratura ordinaria: giudica il 99% dei casi, con competenze ben definite.

Magistratura militare: si occupa di una fetta minima di reati, spesso marginali, con un numero bassissimo di procedimenti annui.

Per fare un esempio pratico: immagina un tribunale militare che, in un anno, tratta poche decine di casi in tutta Italia. Questo significa spese di personale (magistrati, segretari, uffici, strutture) enormi a fronte di un lavoro ridottissimo.

Con gli stessi fondi lo Stato potrebbe potenziare:

i tribunali ordinari, sommersi di arretrati e pratiche;

i servizi di supporto ai militari (assistenza psicologica, reinserimento professionale, tutela legale ordinaria).

In altre parole, spendiamo milioni per mantenere in piedi un apparato quasi inutile, mentre la giustizia civile arranca.

Esempi pratici di inutilità vediamo qualche situazione concreta.

Un soldato ruba materiale dall’armeria.
Di fatto è un furto: perché mai deve essere giudicato da un tribunale militare e non da quello ordinario, come qualsiasi altro ladro?

Un ufficiale commette molestie sessuali a una soldatessa.
Si tratta di violenza o molestia, un reato comune: cosa aggiunge il tribunale militare? Solo un passaggio duplicato che rallenta tutto.

Un caporale si rifiuta di eseguire un ordine.
Un comportamento disciplinare. L’ordinamento militare prevede già provvedimenti come sospensione, perdita di grado, licenziamento. Non occorre scomodare un giudice.

Questi esempi mostrano chiaramente che le “specialità” della giustizia militare si riducono a casi che potrebbero tranquillamente essere già gestiti dagli strumenti ordinari.

Un sistema percepito come privilegio

Un altro problema è la percezione pubblica. I tribunali militari possono sembrare un corpo separato che tutela troppo i militari stessi, anziché garantire la giustizia. In un’epoca in cui l’opinione pubblica chiede sempre più trasparenza, mantenere una “giustizia parallela” appare come un privilegio ingiustificato.

Il rischio è alimentare la diffidenza: se un militare viene processato da un magistrato militare, la gente può pensare che riceva una corsia preferenziale. Non è un bel messaggio per la credibilità delle Forze Armate.

Il confronto internazionale

Molti Paesi negli ultimi decenni hanno ridotto drasticamente i tribunali militari o li hanno eliminati del tutto, mantenendoli solo in tempo di guerra.

In Francia e Germania, la maggior parte delle cause penali che riguardano i militari viene trattata dai tribunali ordinari.

Nel Regno Unito, il sistema militare funziona quasi esclusivamente per materie disciplinari e non per giudicare reati comuni.

In vari stati europei, la magistratura militare è stata assorbita nella giustizia ordinaria.

L’Italia resta tra i pochi a mantenere un apparato separato, che non ha più senso se guardiamo al contesto europeo e NATO.

Il lato umano

Per chi veste un’uniforme, esiste già un carico di doveri, disciplina e responsabilità molto più pesante rispetto a un cittadino comune. Doversi preoccupare anche di un sistema giudiziario parallelo aumenta solo la percezione di essere “cittadini di serie B”.

Un militare dovrebbe avere le stesse garanzie di giustizia di qualsiasi altro italiano. La presenza di magistrati militari, invece, dà l’impressione che le regole siano altre, spesso meno comprensibili e più rigide.

Eliminando i tribunali militari, si otterrebbe anche un segnale di uguaglianza e fiducia reciproca tra cittadini e forze armate.

Una proposta concreta

Se i tribunali militari non servono più, cosa fare? La soluzione è semplice e già adottata altrove:

sopprimere i tribunali militari in tempo di pace;

integrare i magistrati militari nella magistratura ordinaria;

lasciare alla catena disciplinare interna le violazioni specifiche, come insubordinazione o disobbedienza semplice.

In caso di guerra, si potrebbe prevedere la costituzione temporanea di tribunali speciali mobili al seguito delle unità impiegate. Una misura straordinaria, per una situazione straordinaria.

Così, si mantiene l’efficienza senza sprechi e senza duplicazioni.

Conclusione: giustizia senza doppioni

Il tempo dei tribunali militari è finito. Hanno avuto senso in un’epoca diversa, in cui milioni di giovani venivano mandati al fronte e serviva una giustizia rapida e spietata. Ma oggi, con un esercito professionale, missioni di pace e reati comuni che si possono trattare ordinariamente, mantenerli vuol dire solo sprecare risorse e creare confusione.

Il vero rispetto per chi veste l’uniforme non si misura nel conservare istituzioni storiche ormai inutili, ma nel garantire una giustizia equa, veloce e uguale a quella di tutti gli altri cittadini.

Se davvero vogliamo forze armate moderne, trasparenti e credibili, i tribunali militari devono restare soltanto un capitolo di storia. È ora che la giustizia torni unita, senza doppioni e senza privilegi.

 

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