Intervista alla Professoressa Anna Maria Giannini, psicologa e criminologa forense

 

Il suicidio tra i membri delle Forze Armate e delle Forze dell’Ordine rappresenta una delle tragedie più complesse e meno affrontate del nostro tempo. A raccontarcene i contorni più profondi è la Professoressa Anna Maria Giannini, intervistata da Piero Angelo de RUVO1, giornalista collaboratore di https://www.gospanews.net/ dove sono pubblicati vari articoli sull’argomento2, nonché Presidente Onorario della “Federazione Lavoratori Militari” (FLM).

La professoressa Giannini è un luminare nel campo della psicologia giuridica e criminologica, docente ordinario presso l’Università “La Sapienza” di Roma, nonché Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Giuridica, Forense e Criminologica. La sua voce, autorevole e sensibile, ci guida in un viaggio tra numeri, emozioni, silenzi ed eventuali responsabilità.

Un fenomeno trascurato

«La strage silente». Così l’hanno definita gli operatori in uniforme che ci hanno scritto, inondandoci di domande e testimonianze, mossi da un profondo bisogno di essere ascoltati. La Professoressa Giannini accoglie il tema con serietà e rispetto, riconoscendo il dolore sommerso che attraversa le nostre caserme. Alla domanda su come sia nata la sua attenzione verso il suicidio nelle Forze Armate, la Professoressa spiega che tutto ha avuto origine dallo studio delle dinamiche psicologiche legate ai contesti ad alta pressione con chi vive il disagio sul campo, “ha guidato la mia ricerca verso l’obiettivo di comprendere e prevenire”, viene evidenziato dalla professoressa. Le Forze Armate rappresentano un microcosmo di dinamiche complesse rigore, disciplina, isolamento, attese silenziose.

Il fenomeno è drammaticamente sottovalutato anche perché manca una fonte unica, trasparente e aggiornata. «I numeri sono fondamentali, ma devono essere raccolti e comunicati in modo sistematico. Altrimenti – sottolinea Giannini – ogni tentativo di prevenzione è vano. La carenza di dati ufficiali è una responsabilità istituzionale».

I fattori di rischio e una società che non vuole vedere

Dall’analisi condotta dalla Professoressa emergono variabili ricorrenti: isolamento, esposizione prolungata a traumi, cultura del silenzio, timore del giudizio. Ma anche la percezione di inadeguatezza rispetto al proprio ruolo o alle aspettative gerarchiche. Tra le strategie più efficaci per contrastare il rischio suicidario vi è, secondo Giannini, «un lavoro preventivo costante, basato su percorsi di ascolto, formazione e supporto psicologico accessibile». Uno dei nodi centrali resta l’addestramento. «Molti militari credono che mostrare fragilità sia sinonimo di fallimento professionale. Ma la vera forza – afferma con decisione – sta nel riconoscere il proprio malessere. Serve una formazione che aiuti a decifrare i segnali del disagio, prima che sia troppo tardi».

Episodio 9 La Strage Silente

VOCI IN UNIFORME - Federazione Lavoratori Militari
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